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Andrey Ettore e Luna: la forza dei «randagi»

di Giovanni Pistoia.

La curiosità stimola la lettura ma è, anche, un'amica graziosamente dispettosa.
Davanti a un nuovo libro, con addosso ancora il profumo d'inchiostro e di carta, leggo un po' come fa il venticello innamorato che ha fretta, e non vuole che l'amata aspetti.
Il desiderio di far parlare quei brani, di sentire le voci di quelle parole, di conoscere le cose dette dall'autore e, ancor di più, le non dette, mi portano a ingurgitare quelle pagine.
Se il libro è illustrato, cerco nei disegni i dettagli che mi aiuteranno a carpire i segreti dei luoghi, delle persone, degli animali, delle cose.
E cerco attraverso i colori e i segni dell'artista un aiuto per ascoltare il respiro e gli umori dei protagonisti.
La curiosità mi porta, dunque, a una lettura veloce, a un assaggio superficiale.
Se è un racconto, un romanzo, ho l'infantile esigenza «di vedere come va a finire».
Con calma, in seguito, vi ritorno.
La lettura è lenta, la matita per sottolineare e per gli appunti non può mancare.
Mi piace attraversare quelle pagine come può fare la leggera brezza marina che si attarda nella pineta per accarezzarne i ciuffi degli aghi e inspirarne gli odori salmastri.
Se il libro è un romanzo per ragazzi, e allora dimentico la mia età, e ridivento bambino super curioso.
Se l'autore è Angelo Petrosino e l'illustratrice è Sara Not, dimentico il mondo, e mi tuffo in quelle pagine che, comunque, mi riportano alla realtà e al sogno, ai riverberi della vita con le sue luci e le sue ombre, alle albe e ai tramonti fantasiosi e pur robusti.

Il volume che ho tra le mani ha per titolo «Un bambino, una gatta e un cane», è illustrato da Sara Not (Einaudi Ragazzi, settembre del 2022).
È un libro, come è abitudine di Petrosino, rivolto ai ragazzi ma che parla, a bassa voce, anche agli adulti.
Lo stile dello scrittore è inconfondibile, colloquiale, essenziale, diretto.
La conoscenza, lunga e meditata, dell'infanzia si nota ampiamente nella scrittura, leggera e succosa, comprensibilissima anche quando accenna a temi non proprio facili.
Gli argomenti, anche quelli più complessi, trattati con delicatezza e acuta sensibilità.
In questo suo recente lavoro (ma per Petrosino scrivere è una necessità vitale e gioiosa) la storia, o, meglio, le storie, in partenza, lasciano l'amaro in bocca.
Un bambino orfano e venduto, un cane rapito da uomini balordi, una gatta strappata alla sua famigliola da un gruppo di ragazzacci.
Tre «randagi» buttati sulle strade del mondo e, poi...poi... Ma veramente voi pensavate che io potessi raccontarvi qualcosa?
Dirò solo che le vicende si intrecciano, che il racconto si dipana con dolcezza, che lo sguardo dello scrittore è rivolto al futuro e i piccoli protagonisti sapranno superare le angosce e le paure.
Si evince con chiarezza, ma senza enfasi, che la vita è una lotta, per gli uomini e per gli animali.
Certo, molto dipende anche dalle condizioni di partenza, dalle diseguaglianze o dai colori dell'alba.
Il futuro di un bambino con dei bravi genitori che sanno accarezzarlo, aiutarlo a crescere, è ben diverso rispetto a un bambino, come il protagonista del romanzo, che li perde ambedue, che si trova solo con uno zio che non vuole fare lo zio e addirittura lo «vende» (terribile!) a un aguzzino.
Ma Andrej, il ragazzo sfortunato, avverte subito i morsi della vita, non ha tempo per piangersi addosso; si arma di piccozza, per dirla con Pascoli, e scala la sua ardua montagna.
Non da solo, ma con il sostegno di quanti sanno comprenderlo e sostenerlo, e soprattutto facendo "squadra" con altri due simpatici amici, un cane, Ettore, e una gatta, Luna, anche loro in lotta per la sopravvivenza.
La storia è di fantasia.
Ma chissà quanti Andrey ci stanno per le contrade del mondo! Quanti bambini e ragazzi, «non accompagnati», sbarcano sulle nostre coste, e dei loro giorni futuri nessuna saprà!

Angelo Petrosino è uno scrittore che sa raccontare con disincanto e partecipazione, a volte anche con raffinata ironia. Conosce la «ferocia e l'animo crudo e indifferente degli uomini», e qui "rubo" l'espressione a Alfredo Stoppa, altro elegante autore che seguo e ammiro, ma è lontano da lui ogni forma di drammatizzazione: le sue storie, anche se hanno un sottofondo di disagi e sofferenze, si elevano e sanno indicare le «vie di fuga non solo per salvarsi, ma per realizzare progetti di vita in apparenza irrealizzabili.
Contando su sé stessi e sulla solidarietà con compagni di strada ugualmente non rassegnati» per dirla con lo stesso Petrosino.
Angelo (mi perdonerà se lo chiamo per nome anche in questo contesto) ha una fervida fantasia, e a testimoniarlo sono le innumerevoli pubblicazioni, ma le vicende e i protagonisti dei suoi racconti e romanzi sono il risultato delle sue ricerche di studioso, di conoscitore dei disagi infantili, e, soprattutto, del lungo e proficuo rapporto con tante generazioni di scolari nella sua qualità di maestro.
La sua fantasia, in sostanza, «cavalca con la ragione» per dirla con il titolo di un noto testo su Rodari curato da Carmine De Luca, studioso e caro amico di Angelo Petrosino.

Carmine De Luca. Che c'entra con questo romanzo? È presto detto.
Torino è la città amata da Petrosino che è, come si sa, un pugliese di Chivasso.
Al capoluogo piemontese ha dedicato vari libri. Cito, a titolo di esempio, «Le avventure della gatta Ludovica» (Einaudi Ragazzi, 2020).
E Torino fa da sfondo anche al nostro «Un bambino, una gatta e un cane».
Il lettore, seguendo il pellegrinaggio dei protagonisti, incontrerà e conoscerà luoghi noti e meno noti del popoloso comune.
Petrosino non solo sa ascoltare le voci, le emozioni e i turbamenti dei ragazzi, ma anche gli umori della città.
La città, che lo ha adottato tanti anni fa, lo stimola, così come ha ispirato altri scrittori: Edmondo De Amicis, Natalia Ginzburg, Cesare Pavese, Italo Calvino e tanti altri ancora.
Ma una delle storie raccontate nel libro, quella del cane Ettore, ha inizio in Calabria e, in particolare, a Schiavonea, località marinara e centro turistico di Corigliano Calabro (ora, a seguito della fusione con altro centro viciniore, Corigliano-Rossano).
Qui era nato, nel 1943, Carmine De Luca, autore, insieme a Pino Boero, dell'ormai famosa «La letteratura per l'infanzia», la cui prima edizione, per Laterza, risale al 1995, oltre che curatore di moltissimi testi rodariani. Qui, nel suo mare di Schiavonea, Carmine veniva - abitava a Roma - per trascorrervi le ferie, e per rivedere i suoi tanti amici d'infanzia e dove, spesso, l'ho incontrato, sempre con il suo sorriso aperto e i piccoli occhi intelligenti.
Angelo Petrosino, che a Carmine ha dedicato un paio di libri, ha voluto così, ancora una volta, rendere omaggio al suo compagno d'avventura di tante pagine per l'infanzia, «all'amico generoso di idee e di storie».
E anche in ciò è possibile avvertire la grande carica umana di questo maestro-scrittore tra i più noti e apprezzati, e non solo in Italia.

UN CUORE DEL TERZO MILLENNIO

di Angelo Nobile docente di Letteratura per l'infanzia e l'adolescenza e di Pedagogia della lettura e della letteratura giovanile all'Università degli Studi di Parma.

Personalmente, in varie occasioni (Cuore in 120 anni di critica deamicisiana, Aracne, 2009; Letteratura giovanile, La Scuola, 2015), avevo auspicato una riscrittura attuale del libro Cuore che, ambientata ai giorni nostri, nel nostro contesto storico, urbano e sociale, ne riproponesse i valori (onestà, laboriosità, lealtà, rispetto per l'altro... sui quali si fonda l'ordinata convivenza civile), ne riprendesse la struttura e ne conservasse il fascino narrativo, sostituendo allo stile enfatico, alla lacrimosità e agli eccessi retorici del capolavoro deamicisiano un linguaggio moderno, agile e sciolto, più in sintonia con i gusti dei giovani lettori.
Si è felicemente cimentato in questa impresa con fresca vena creativa, avvalendosi di una scrittura agile, immediata, di grande efficacia comunicativa, e avvantaggiandosi della sua profonda conoscenza, per esperienza diretta, della scuola e dell'infanzia reale, Angelo Petrosino, il popolare autore - tra gli altri - della fortunata serie di Valentina, che ha accompagnato due generazioni di bambini, e specialmente bambine, nel loro percorso di crescita. Prendendo spunto e ispirazione dai tanti casi umani incontrati nella sua appassionata attività di insegnante, Petrosino ha costruito un romanzo che, con accenti di viva originalità, richiama sia nel titolo, sia nell'articolazione il Cuore deamicisano, con opportuna esclusione della comunicazione epistolare, presente invece nell'opera dello scrittore di Oneglia (il riferimento è alle lettere dei genitori a Enrico, che con il loro tono predicatorio e a tratti ricattatorio in effetti rappresentano la parte più caduca del romanzo). E per raccontare di questa ricca e variegata umanità fanciulla, l'autore ricorre alla figura della sua eroina ed alter-ego che, ormai adulta, ha deciso di intraprendere il lavoro (da lei vissuto come una missione) di docente di scuola secondaria: una Valentina alla sua prima esperienza di insegnamento, che affronta con entusiasmo e totale dedizione il suo compito, e che ci riferisce in uno stile semplice, colloquiale, diretto, del suo primo anno di scuola e dell'incontro con tante infanzie, inframmezzando la narrazione con racconti periodicamente scritti per i suoi alunni, finalizzati alla loro crescita umana, sociale e civile, ad una cultura dell'accoglienza e al superamento di pregiudizi e stereotipi.
Dinanzi agli occhi del lettore scorrono ritratti e storie credibili dell'infanzia del nostro tempo: una pluralità di caratteri, di personalità, di situazioni personali, familiari e sociali: l'alunno ipovedente, quello dislessico, la ragazzina innamorata della lettura e scrittrice di storie, il bambino irriso per il mestiere del padre, operatore ecologico, l'extracomunitaria adottata, la bambina, figlia di una badante, che si occupa responsabilmente del fratellino, la compagna che accudisce la madre costretta in carrozzella, la nuova alunna di colore, e così via. E con essi comportamenti altruistici, di commovente abnegazione, come quello di Giulia, che si dedica totalmente alla compagna disabile. Sono ritratti realistici, privi di toni retorici o agiografici. Nè potrebbe essere diversamente, perché Petrosino ha descritto bambini reali, che ha conosciuto, con i quali ha convissuto per anni e che ha portato al sapere, alla consapevolezza etica e civile e a corrette modalità comportamentali, assecondandone la formazione integrale della personalità.
Non più la Torino dell'età umbertina, con le sue aule affollate e pletoriche, con le sue nette ripartizioni in classi sociali, con le precoci esperienze lavorative per l'infanzia diseredata, ma una città della Mole del XXI secolo, con una mutata realtà umana, sociale e tecnologica e con le molte emergenze educative, tra cui primariamente l'accettazione e l'integrazione degli alunni immigrati, nei cui confronti la professoressa Valentina Castelli ripete il rito dell'accoglienza del maestro Perboni allorché presenta alla scolaresca il bambino calabrese.
Non più la rigida tipizzazione di astratte virtù e di vizi (la laboriosità, l'onestà, la generosità, la tenacia, l'invidia, la superbia...) incarnati dai giovanissimi protagonisti, ma una umanità fanciulla più psicologicamente (e realisticamente) sfumata, col suo carico di piccoli e grandi problemi, con i suoi sogni, le sue aspirazioni, con le sue paure e inquietudini, talora col suo precoce carico di responsabilità, ma sempre orientabile verso il bene. Così come non compare l'esasperata caratterizzazione di una irriducibile malvagità, educativamente non emendabile, incarnata da Franti: l'«infame». Certo, non manca l'alunno borioso, in conflitto con i compagni (Boris, con le sue continue provocazioni e proteste, sempre pronto alla critica malevola), ma alla rigidità dei caratteri dei personaggi deamicisiani qui si contrappone la possibilità di una presa di coscienza e di consapevolezza, di un riscatto da comportamenti e atteggiamenti negativi. Se Franti è una maschera fissa e immutabile, incapace di evoluzione positiva, Boris si affranca progressivamente dai suoi atteggiamenti ipercritici e oppositivi, giacché per l'ottimistica pedagogia del maestro Angelo ogni alunno è recuperabile con la strategia del dialogo, dell'ascolto, della persuasione, dell'affetto, e con l'efficacia dell'esempio.
Protagonista del romanzo è la professoressa Valentina, sostituta dell'esemplare maestro Perboni e figura altrettanto carismatica, ma umanamente più vicina ai giovani lettori. Coscienziosa, totalmente votata all'insegnamento, sempre in anticipo sul suo orario, animata da incondizionato amore per l'infanzia, si fa carico dei suoi alunni anche nel tempo non scolastico, seguendoli con affettuosa e trepidante attenzione, in una relazione d'aiuto, nel mentre vigila che in classe non si verifichi alcun episodio di bullismo e di prevaricazione. Attua una pedagogia non autoritaria, democratica e maieuticamente dialogante, e una didattica incentrata sulla narrazione, sulla comprensione e sull'ascolto, nell'ottica don milaniana dell'"I care". E, non ultimo, si preoccupa di accogliere e intrattenere gli alunni con racconti, di innamorarli alla lettura e di indirizzarli nelle scelte dei libri. Si attiene insomma ai migliori dettami della scuola attiva, senza dimenticare il suo ruolo di guida e di educatrice, tanto che evita di farsi dare confidenzialmente del tu dai suoi studenti. Un'altra piccola notazione positiva: nella classe di Valentina si imparano ancora le poesie a memoria: sana abitudine didattica che sembra oggi essersi smarrita, o quanto meno diradata, specialmente a livello di scuole secondarie.
Non manca un incontro con l'autore, al quale interviene uno scrittore nel quale è riconoscibilissimo il maestro Angelo Petrosino, che ci racconta anche uno squarcio della sua disagiata esistenza fanciulla: esperienze di vita di cui lo scrittore ci dà più diffusa testimonianza in altri suoi scritti, tra cui Mi chiamo Angelo (Sonda, 2000), cronaca del suo travagliato viaggio in Francia al seguito della propria famiglia costretta dal bisogno, e della sua permanenza nel Paese transalpino. Sono pagine autobiografiche che hanno il fascino del romanzo, mentre il suo vissuto di immigrato ci illumina sulla sua costante attenzione per gli ultimi, i diseredati, gli emarginati.
Attraverso la figura di Valentina (nella quale trasfonde e incarna molto di sè, della sua passione per la scuola, del suo entusiasmo, della sua capacità didattica, della sua sensibilità umana e sociale, delle sue attitudini empatiche), Petrosino delinea e addita un modello di scuola democratica e autenticamente formativa, aliena da ogni enfasi cognitiva.
I genitori e in genere gli adulti con i quali Valentina si rapporta, forse ispirati da alcuni dei tanti incontrati dal maestro Petrosino nella sua lunga attività di insegnamento, sono lontani dalla perfezione di non poche madri e padri deamicisiani, ma anche dalla negatività cui ci ha abituato molta scrittura per ragazzi degli ultimi decenni, specialmente quando rivolta all'età preadolescenziale e adolescenziale. Le dinamiche relazionali genitori-figli sono improntate ad affetto; frequenti le figure positive di madri, che instaurano un corretto rapporto educativo con i figli, anche se non manca qualche momentanea incomprensione, presto superata. Del pari va dato atto allo scrittore di non essersi allineato a mode e andazzi nel descrivere e presentare negativamente la scuola e la figura dell'insegnante, nel contesto di una ostile rappresentazione del mondo adulto. Anzi, emergono nei ragazzi transitati alla scuola secondaria ricordi positivi dei loro maestri di scuola elementare e immagini di insegnanti capaci, affettuosi e comprensivi. La stessa Valentina si rapporta frequentemente col suo mai dimenticato maestro Angelo, per ricevere aiuto, consigli e suggerimenti.
I racconti scritti da Valentina per i suoi alunni (scanditi periodicamente, sul modello dei racconti mensili deamicisiani), calati nell'odierna vita quotidiana, esaltano i valori dell'onestà, dell'amicizia, della solidarietà, della tenacia e la profondità degli affetti; in particolare, sensibilizzano sui drammi e i vissuti dei bambini disabili e dei coetanei extracomunitari, con le loro spesso dolorose infanzie, con le loro frequentemente travagliate esperienze di vita. Non hanno finalità patriottiche, di celebrazione di virtù eroiche, e neppure intenti scopertamente esemplaristici, non additano modelli e comportamenti inimitabili (il tamburino sardo, la piccola vedetta lombarda, il piccolo scrivano fiorentino...), anche se non mancano esempi di sacrificio e di generosa dedizione e figure indimenticabili, di grande umanità, come Aisha: sono racconti coinvolgenti, in cui il messaggio educativo si concilia e armonizza sapientemente col procurato piacere della lettura.
Nell'insieme il libro è ricco di riferimenti autobiografici: sono i ricordi, recenti e lontani, di scuola e di vita dell'Autore, ma anche squarci della sua infanzia, povera e disagiata eppure felice; ricordi filtrati, ordinati e riproposti ai giovani lettori per la loro crescita umana e civile e per il loro consapevole e responsabile inoltrarsi nei tortuosi e talora aspri meandri della vita. Sono le testimonianze di un autentico educatore, un maestro democratico e "assertivo", che si ripresenta nella veste femminile del suo amato personaggio per proporre un modello e uno stile di insegnamento, e con esso i valori imperituri che connotano una società civile.
Trascinato dalla sua passione educativa, in qualche punto il maestro Petrosino prevale e all'interno del discorso di questo o quel personaggio introduce qualche considerazione, riflessione, insegnamento atto a orientare assiologicamente il giovane lettore. In ciò richiamando, pur nell'originalità dell'invenzione, lo stile e il procedimento narrativo di Giovanna Righini Ricci, altra indimenticata figura di scrittrice-educatrice. Così come non mancano vivaci parentesi didascaliche, funzionali al discorso e perfettamente incastonate nella narrazione.
È un romanzo che si legge senza caduta di interesse e di attenzione dalla prima all'ultima pagina, utile anche quale lettura professionale per l'insegnante. Un libro in cui l'arte di narrare si fonde con la passione educativa, e che soltanto un maestro colto, aduso a molte e vaste letture, ricco di sensibilità umana e sociale e di doti empatiche, con una conoscenza diretta della scuola e dell'infanzia reale, poteva scrivere.
Introdotta dalla puntuale prefazione di Don Luigi Ciotti e affettuosamente dedicata a Pompeo Vagliani, presidente della Fondazione Tancredi di Barolo e direttore del Museo della Scuola e del Libro per l'Infanzia di Torino, questa ennesima impresa scrittoria del prolifico Angelo Petrosino si segnala come una delle opere più significative degli ultimi anni, destinata, al pari del suo autore, ad occupare un posto non marginale nelle future storie della letteratura per l'infanzia.