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Riporto alcuni dei saggi e degli articoli sulla letteratura per l'infanzia che ho scritto per varie riviste, perchè arrivino più facilmente agli adulti e agli insegnanti.

Narrare storie per i ragazzi d'oggi
Cooperazione Educativa - 1994

Perché si diventa scrittori? Chi scrive, di solito, lo fa per dire la propria gioia di vivere, per dare voce ai suoi sogni, per alleviare la propria solitudine o per trovare una soluzione provvisoria alla sua difficoltà di esistere. E questo vale anche per chi decide di scrivere per i ragazzi. Parlo di oggi, si capisce, che ai bambini e ai ragazzi viene reso, per lo più, il dovuto: ossia il rispetto per la loro verità e la loro intelligenza. Per lo più, non sempre, perché dell'infanzia continuiamo a diffidare e, soprattutto, diffidiamo di chi con l'infanzia intrattiene rapporti pericolosi. È pericoloso, infatti, dar voce ai bambini e ai ragazzi, ed è irritante, per molti adulti, vedere un altro adulto che li accompagna nel cammino che essi compiono per definire la loro identità e sanzionare il distacco dai loro tutori.
La letteratura per l'infanzia non può che essere trasgressiva. Perciò gli scrittori per ragazzi, se vogliono dire qualcosa di sensato ai loro interlocutori, non possono che essere integralmente dalla loro parte. Ed essere dalla loro parte significa non chiudersi né in una ideologia, né in una forma qualsiasi di moralismo. Significa, innanzitutto, far spirare nei libri ad essi rivolti un' aria satura di libertà e di disponibilità a mettersi in gioco. Vuol dire dare spazio a tutte le emozioni che si ingorgano alla loro età, e che spesso ci fanno paura perché abbiamo imparato a negare le nostre esercitando l'arte avvilente del compromesso. Perciò i libri per ragazzi possono e devono essere anche un ridotto di resistenza contro i tentativi di livellare le coscienze e ottundere le intelligenze: pratica oggi molto in auge. Tutti i grandi scrittori per l'infanzia questo fanno, guadagnandosi la fedeltà e la riconoscenza dei loro lettori.

Scrivere per i ragazzi
Era necessaria questa premessa, in un articolo nel quale mi è stato chiesto di parlare di me e del mio mestiere di scrittore per ragazzi? Credo di sì. E non perché nei miei libri trovino, per così dire, integrale applicazione i principi sopra enunciati, ma perché ad essi certamente mi ispiro. Più per istinto che per programma.
Non mi piace il narcisismo che oggi impazza soprattutto sugli schermi televisivi. In parte mi imbarazza, in parte mi fa infuriare, in parte mi immalinconisce. Insieme alla boria, all'arroganza e alla prepotenza, mfattii, su quei palchi corrono storie di gente anonima che si dibatte nel silenzio e nella solitudine. E tuttavia, un conto è offrirsi impudicamente davanti alle telecamere, un conto è raccontarsi attraverso la pagina scritta: riflettendo, discutendo, ragionando. Insomma sto cercando di scusarrni, prima di cominciare a parlare di me. Sono diventato scrittore per allegria. I racconti contenuti nel libro "La febbre del karatè " hanno per protagonisti bambini irrequieti e astuti, allegri e scanzonati. Rappresentano tanti frammenti del quotidiano, in cui interviene un po' di fantasia a rimettere in discussione i luoghi comuni che feriscono e uccidono l'infanzia. Sono storie leggere e profonde in cui è molto presente il linguaggio parlato. Lo stesso vale per i racconti contenuti in "Amore e pallone". Anche se, in questo caso, si tratta di racconti più meditati, in cui mi sono soffermato a parlare soprattutto ditenerezza, di amori infantili, di voglia d'affermarsi in contrasto con gli adulti, le loro regole e le loro flssazioni. Un sussulto di memoria mi riporta inevitabilmente alla mia infanzia contadina e alla vicinanza con dei narratori indimenticabili: da una giovane cugina a un nonno vagabondo che sostava insieme ai nipoti, nelle taglienti sere d'inverno, a raccontare, a mimare, a ricordare. I primi libri arrivarono molto tardi nelle mie mani: intorno ai dodici-tredici anni. Quindi non ho nostalgie o tenerezze particolari per pagine che non lessi, in un'età in cui per molti scrittori l'incontro con i libri assume un valore fondamentale. Io dapprima ascoltai, poi vissi sulla mia pelle la vita forse raccontata in libri che ignoravo. A dieci anni lasciai un mondo cristallizzato in tradizioni inattaccabili, ed emigrai fino a trovarmi smarrito (ma solo per poco) nel caos di odori, di forme e di colori che offriva la Parigi degli anni cinquanta. Per fortuna ci fu una tappa intermedia, sui monti e sulle colline dell'Auvergne, dove per un po' potei vagabondare tra boschi e ruscelli, insieme a bambini che guardai la prima volta con stupore, a causa della loro pelle scura e dei loro occhi a mandorla: bambini che sembravano in attesa di un loro coetaneo italiano, per completare la girandola di razze e di nazioni che si era costituita nel paesino dove ero stato improvvisamente sbalestrato.

Memorie e storie personali
Perché questi accenni a una storia personale che potrebbe non interessare nessuno? Per-ché nei miei libri successivi (i diari di Jessica) essa ritorna insistente, anche se il lettore non può rendersene conto, perché è mascherata dalla narrazione in cui è coinvolta la protagonista.
Ma anche perché in quegli anni dev'essersi fortemente radicato il mio bisogno successivo di raccontare e trasfigurare il mio rapporto con l'infanzia e con il mondo.
Non sto dicendo, come spesso sogliono dire molti scrittori, che scrivendo libri per ragazzi si finisce col parlare della propria infanzia, e che è grazie alle impressioni vive di quel tempo lontano che si è in grado di parlare ai ragazzi. Sul proprio passato, è inevitabile, si posa uno sguardo carico di tutte le esperienze successive. E vero, alcune delle nostre lontane emozioni e alcuni nostri stati d'animo sono comprensibili per i ragazzi d'oggi, perché corrispondono ai loro nel momento in cui crescono e cambiano. Ma anche i sentimenti sono condizionati dal tempo in cui si vive. Perciò, quando si vuole raccontare la propria infanzia, in genere si scrive un'autobiografia, ma difficilmente se ne fa un libro per ragazzi.
Nei diari di Jessica, gli episodi ai quali ho assistito da bambino sono presenti come memoria di adulti che dialogano con la protagonista. In ogni caso, si tratta di storie ben determinate: dalla vicenda di un lupo mannaro all'omicidio di due bambini, da un rapporto difficile tra madre e figlia a una storia d'amore tra due ragazzi e così via. Storie che pulsavano nella mia memoria e che sono diventate un pretesto perché Jessica si confrontasse con gli adulti che condizionano la sua vita.
Nei diari sono piuttosto frequenti gli ambienti nei quali ho vissuto o che ho esplorato: dai boschi alle metropoli, dalle campagne alle periferie delle moderne città. Luoghi fisici che ho conosciuto e che si trasformano in occasioni e situazioni in cui Jessica cresce, fa le sue esperienze, incontra ostacoli e impara a guardare lontano.
Quella prima emigrazione che travolse la mia infanzia ha certamente contribuito a trasformarmi in scrittore, perché allargò di colpo i miei abituali orizzonti e perché insinuò in me la voglia smisurata di muovermi e di viaggiare. In quegli anni nacque il bisogno di studiare le lingue straniere, che cominciai a considerare innanzitutto come uno strumento per accrescere la mia libertà di movimento e la possibilità di avvicinare gli altri: i bambini vietnamiti, algenini, portoghesi e spagnoli con i quali giocai, mi picchiai e vagabondai non li incontrai invano sulla mia strada, oggi lo so.
I diari di Jessica sono una mappa ricchissima di luoghi: tanti "altrove" dove la mia protagonista si muove con stupore, ma anche con l'ardore di chi vuole esplorare e conoscere. Tutti luoghi nei quali mi sono mosso con curiosità e voglia di fare confronti. Luoghi nei quali accade sempre qualcosa di nuovo, posti nei quali si è messi di fronte a verità insospettate. È questa la ragione per cui, ad esempio, uno degli episodi più intimi e segreti della vita della maestra-amica di Jessica viene raccontato alla protagonista su una panchina avvolta nel buio, in una notte immobile, davanti al mare del golfo di Salonicco. A Salonicco sono stato qualche mese fa, invitato dall'Istituto di Cultura Italiano di quella città, e ho sostato, davanti al mare di notte, in una condizione fisica e psicologica molto simile a quella che ho descritto nel quarto diario di Jessica, che sta per uscire. Jessica si muove molto anche lei, e nivisita tutti i luoghi nei quali ho messo piede per necessità, per scelta o per caso. Facendola vagabondare, le consento di crescere in un mondo percorso da folle che si muovono anch'esse per necessità, per scelta o per caso. In questo modo, diventa più tollerante, più compnensiva, più rispettosa delle differenze. Ma, nello stesso tempo, diventa protagonista attiva di storie che la coinvolgono. Uno dei pericoli che corre l'infanzia delle nostre metropoli è proprio quello di crescere in confini limitati dove non accadono storie. Altra cosa sono le ripetizioni e le ossessioni che incupiscono i nostri quartieri, soffocando sogni e desideri.

Un'eroina dei nostri tempi
Ho voluto fare di Jessica un'eroina che vivesse la vita delle ragazzine d'oggi, ma senza i silenzi e le rassegnazioni che spesso sono assegnati alle bambine. Jessica non sopporta i luoghi comuni, si rende a volte sgradevole agli adulti, rivendica il diritto di avere la parola, ha una coscienza risentita del suo essere oggi ragazza, domani donna. Jessica ha il gusto dell'ironia, scava nelle riserve mentali altrui, lavora d'intelligenza. Ma è anche generosa, sa ascoltare, sa capire gli altri.
Sia in Un anno con Jessica, sia in Jessica e gli altri, sia in Buon viaggio, Jessica!, questo ritratto di una bambina dai 10 ai 13 anni ha modo di precisarsi e di approfondirsi.
Nel corso di questi anni (e soprattutto negli ultimi mesi), mi sono arrivate moltissime lettere da parte di bambine che hanno l'età della protagonista. E il loro incipit è invariabilmente lo stesso: "Caro Angelo, come hai fatto a metterti così bene nei panni di una ragazzina, a raccontare la sua vita e si suoi desideri e a esprimere le sue emozioni? Leggendo i diari di Jessica, mi è sembrato proprio che tu stessi parlando di me".
A tutte queste bambine, io spiego che uno scrittore deve saper modificare i propri punti di vista e assumere quelli dei protagonisti delle sue storie. E tuttavia mi rendo conto, che questo è solo parzialmente vero. Ho sempre posseduto una grande capacità di identiflcarmi con gli altri. Una virtù non sempre invidiabile, perché spesso ti procura il privilegio di soffrire la sofferenza altrui come se fosse la tua propria. Ma non è proprio grazie a questa empatia spontanea che sono stato in grado di aiutare un'infanzia allo sbaraglio? "Ci ha cambiati la scuola" è un libro che con le sue poche pagine sta a dimostrano una volta per tutte.
E vero, mi sono identificato con Jessica come se fosse una sorta di alter ego. E un per-sonaggio umano e letterario che faccio fatica a abbandonare, perché è ricco di risorse, di fantasia e di memoria, oltre ad essere aperto su un futuro che non abbia le tinte dell'oppressione e della morte. E il fatto che tante ragazze seguano con passione la sua storia, che si snoda anno dopo anno, e che tante di loro mi scrivano dicendo di considerarla come un ‘amica o una sorella, affermando di non credere che sia un personaggio inventato e giurando che provano a regolare il loro comportamento sul suo: ebbene, questo soddisfa un bisogno essenziale che è in me connaturato soprattutto da quando la mia vita si intreccia strettamente a quella dell'infanzia, ossia quello di dialogare anche con chi materialmente non posso raggiungere. Sì, è questo il piacere maggiore che mi procura la scrittura. Nell'ultimo diario, "È ancora giorno, Jessica ", le cose cambiano sensibilmente per la protagonista. Molte ragazze mi avevano fatto notare che Jessica, finora, era sempre riuscita vittoriosa dalle sue piccole e grandi battaglie. "Io, invece", mi scrive Paola, "ho spesso tanti dubbi e mi sento molto scoraggiata".
Sono considerazioni che avevo già fatto tra me. E così, in È ancora giorno, Jessica, ho voluto soffermarmi di più sulle fragilità, i dubbi, le incertezze che attraversano i giorni di una preadolescente (in questo diario, Jessica ha dai 13 ai 14 anni). È un libro al quale tengo più degli altri, perché ho voluto affrontare un tema col quale uno scrittore deve prima o poi provarsi: ossia l'intreccio tra amore e morte. Jessica ama, riamata, il suo amico Mario. E nel libro sono frequenti le occasioni in cui, coerentemente con le condizioni psicologiche della loro età, essi si abbandonano a questo sentimento con ansia e felicità. In genere si ha molto ritegno a parlare di erotismo preadolescenziale. E un ritegno che rappresenta piuttosto la nostra paura e la nostra viltà. Io credo di averlo superato con la misura e la delicatezza necessarie ma anche, soprattutto, con la verità delle situazioni che descrivo.
E poi la morte. Altro tema che tocco non per ricattare le mie lettrici, ma per aiutarle ad amare di più la vita. In questo libro, Jessica sfiora in più occasioni situazioni difficili che la costringono a ripensare se stessa e i suoi rapporti con il mondo. E' un anno difficile, per lei. Ma alla fine ne verrà fuori arricchita, come sempre accade quando si supera un passaggio stretto, o si viene fuori da una zona d'ombra. "E ancora giorno, Jessica " è un libro di confine che segna il trapasso ad una condizione adulta che si definisce a poco a poco. Ad una maturità che resta vigile e guarda oltre. Una maturità che si muove in un mondo non facile, ma nel quale vale sempre la pena vivere.

Peter Pan racconta storie
Voglio concludere dicendo che il mondo di Jessica ha molti riflessi in Peter Pan, la rivista che dirigo e sulla quale ospitiamo i migliori autori di libri per ragazzi. Scrittori e scrittrici in sintonia con i loro lettori e dunque legati al nostro tempo e consapevoli delle trasformazioni in corso nelle nostre società.
Peter Pan ha l'ambizione di rappresentare i bisogni dei preadolescenti d'oggi e di parlare loro senza timore del mondo in cui vivono. Ecco perché, insieme ai racconti e alle storie, abbiamo pensato di introdurre molte rubriche-osservatorio in cui i ragazzi parlano agli adulti e gli adulti rispondono senza nascondersi dietro verità di comodo. Ho voluto accennare a questa rivista (che ormai esce mensilmente anche in edicola), per dire che uno scrittore per ragazzi, oggi, non può vivere in un dorato isolamento. Del resto, se lo facesse, perderebbe di vista il contatto con i suoi interlocutori. Peter Pan consente, a me e ad altri, di allargare ulteriormente la cerchia di chi non ha la parola o non riesce a farsi sentire.
I ragazzi che ci scrivono da Palermo e da Bressanone, da Catanzaro e da Monza hanno voglia di raccontarsi e di sentirsi raccontare delle storie. Peter Pan li seconda e li aiuta a volare più in alto.

La scrittura e la vita negli incontri con i bambini
Schedario - 1997

Data la natura dei miei libri, di solito preferisco incontrare bambini del secondo ciclo della scuola elementare o ragazzi di scuola media.
Conosco bene la frenesia dei ragazzini verso chi, ai loro occhi, è considerato un personaggio pubblico e famoso, e la voglia di spogliarlo e di portare alla luce i suoi aspetti intimi e nascosti.
Ma con i miei interlocutori io chiarisco subito che non sono un attore né un mezzobusto televisivo. lo scrivo libri, racconto storie, colgo emozioni, desideri, sogni. Dunque è di questo che voglio parlare con loro: di vita e di scrittura, insomma.
Devo dire che mi è facile portarli su questo terreno, perché nei miei libri i temi della crescita, del cambiamento, dell'identità, dei rapporti tra coetanei e tra adulti e adolescenti sono costanti e fondamentali.
Per questa ragione chiedo di incontrare non folle di alunni, ma gruppi limitati di bambini e di ragazzi. In questo modo è più facile guardarsi in faccia, prendere la parola, discutere, dialogare. Prendo sempre sul serio questi appuntamenti, e non li ho mai considerati come delle passeggiate capaci di lusingare il mio narcisismo personale.
Prima di incontrarmi, i bambini devono aver letto i libri che io ho loro proposto, affinché attraverso le loro pagine capiscano chi sono e quali idee mi faccio dell'infanzia e dell'adolescenza oggi. Poi mi diranno se le condividono o se le sentono estranee alloro modo di pensare.
Ai miei interlocutori faccio anche dei regali.
I bambini che frequentano la scuola sono quasi sempre ossessionati dalla scrittura. Sanno bene quanto sia difficile affrontare la pagina bianca, attingere idee a un patrimonio di esperienze limitate, trovare le parole che condensino con efficacia un pensiero o un'emozione.
Ecco perché, spesso, mi porto dietro i dattiloscritti dei miei libri o, addirittura, le bozze. Permetto così ai ragazzi di entrare nel laboratorio dello scrittore e di confrontare le variazioni e i pentimenti intervenuti tra una stesura e l'altra del volume. Questa porta socchiusa sul mondo della scrittura li affascina moltissimo.
Se da un lato il libro perde la sua aura di oggetto miracoloso, dall'altro si offre con quella di un prodotto confezionato con amore, puntiglio, passione.
Ricordo sempre ai ragazzi che un libro non nasce mai per caso. Ecco perché mi soffermo insieme a loro sulle occasioni, sui pretesti, sulle circostanze che mi hanno spinto a parlare di una storia, di una vicenda o di un tema che mi sta a cuore.
In questo modo, almeno nel mio caso, essi si rendono conto che un libro è sempre autobiografico, che realtà e finzione si intrecciano in modo inestricabile.
Questa convinzione li spinge a considerare con un altro occhio la propria scrittura. Allora capiscono che la curiosità, la capacità di ascoltare gli altri e di muoversi con coraggio tra mondi diversi ed esemplari di umanità sconosciuti sono tutte condizioni essenziali per diventare scrittori.
Questa aspirazione, nell'età di passaggio tra infanzia e adolescenza, è molto forte soprattutto nelle bambine e nelle ragazze, che sono già capaci di scavare dentro di sé e di raccontarsi senza timori. Sono loro che, negli incontri che ho nelle scuole e nelle biblioteche, si fanno avanti per approfondire le questioni che mettono in gioco le loro vite.
Nelle mie storie, ovviamente, trovano materia abbondante per fare riflessioni e confronti in merito, e nelle due ore che passiamo insieme sezioniamo capitoli, storie, immagini e parole dei libri che hanno letto.
Credo che uno scrittore per ragazzi che abbia la pretesa di rivolgersi ai suoi interlocutori per raccontarli, rispecchiarli e aiutarli (perché no?) a definire la loro identità, non debba avere timore di raccontarsi a sua volta e di mettere a disposizione la sua storia.
Raccontandosi con passione e serietà, può farlo anche con misura e con pudore.
Ecco perché, in molti casi, questo dialogo iniziato in un'aula scolastica, prosegue attraverso lettere che giungono a casa qualche giorno dopo.
Sulle lettere delle preadolescenti dovrei aprire un capitolo nuovo. Ma non lo faccio perché ne ho parlato a sufficienza nel mio libro Caro amico...
Infine, prima di salutarci, mi piace leggere ad alta voce qualche pagina dei miei libri. «La tua lettura è diversa da quella della maestra», mi dicono i bambini. Certo, perché le parole che hanno preso forma sulla pagina le ho amate e pensate a lungo.

La letteratura per l'infanzia, una vita dalla parte dei bambini
LG argomenti - Luglio/Settembre 1995

Posso dire di aver seguito quasi passo passo l'aggiornamento della Guide de littérature pour la jeunesse, cui Marc Soriano ha dedicato gli ultimi anni della sua vita.
Marc mi inviava gli articoli a mano a mano che li completava, e ci teneva che li leggessi subito: soprattutto quelli che toccavano temi, sui quali le nostre idee ora collimavano, ora divergevano (la famiglia, la sessualità, ecc.).
Marc ha vissuto sulla sua pelle i problemi della nostra epoca e non ha mai lesinato forze e intelligenza per contribuire a risolverli.
L'aggiornamento della sua Guide ne è una palpabile testimonianza.
Fine letterato e attentissimo ai valori formali del testo (quanti preziosi consigli mi ha dato per l'elaborazione finale dei miei libri!), nella prefazione alla sua nuova Guide precisa che l'ambizione del suo lavoro è anche quella di «incitare all'azione e alla creazione ... Non sono certo per la letteratura impegnata, ma nemmeno per quella disimpegnata e ir-responsabile».
Consapevole che «non bisogna privare i bambini della loro infanzia», e che è dunque giusto dar loro libri che li divertano e che li abituino a sovvertire le regole del linguaggio e così via, Marc però osserva: «La guerra, l'avidità, la miseria, i nazionalismi, i razzismi, l'odio per le donne devastano il nostro mondo. I bambini ne sono le prime vittime: espulsi, bombardati, uccisi o gasati, condannati ai lavori forzati, prostituiti e costretti a cercare il loro nutrimento tra le discariche pubbliche. Ebbene, è anche per loro che esiste la letteratura per l'infanzia. La necessità di informare e di mettere in guardia non è mai stata così urgente come oggi ... Bisogna assolutamente evitare che le vittime di oggi si trasformino nei carnefici di domani».
Fra tante anime belle che vivono appartate, e che guardano con degnazione le convulsioni del pianeta e delle nostre società, Marc ha sempre saputo da quale parte stare: dalla parte dei più deboli, dei bambini, delle donne.
Ecco perché, scorrere l'indice degli articoli della Guide, significa calarsi nel vivo di questioni che mettono in causa il nostro agire nel nostro tempo.

I temi
Marc si pone un interrogativo che non può non farci riflettere: «I rivoluzionari del 1789 e i socialisti del 1848 credevano nelle virtù dell'educazione. Poi si resero conto che si trattava di una utopia. Ma chi bisognava educare prima? I bambini o i genitori? » Ed è anche a questi che si rivolge con la sua Guida, perché «leggano i libri per ragazzi con i loro figli, perché li conoscano meglio e consolidino i legami d'affetto che li uniscono a loro. »
Nell'aggiornamento della sua opera, Marc dice di essersi reso conto che, rispetto a vent'anni prima, «le mentalità erano cambiate e che molti problemi si ponevano diversamente: per esempio quello dell'educazione sessuale e affettiva ».
Nell'articolo intitolato «3 premesse e 23 semplici consigli per aiutare genitori e figli a scegliere i loro libri», a questo proposito osserva: «Nell'Europa occidentale, per molto tempo la letteratura per ragazzi si è caratterizzata per l'omissione o addirittura l'esclusione della realtà dell'amore».
Eppure questo è uno degli argomenti che più interessano il bambino, «Offriamo dunque ai nostri ragazzi, appena possibile, le più belle storie d'amore della nostra letteratura e del patrimonio dell'umanità ... L'amore è la sola passione che ci spinga a uscire da noi stessi e a metterci al servizio degli altri».
E che dire della droga? È forse un argomento fuori posto in una guida di libri per ragazzi? Come tacerne, visto che è diventata una delle cause principali di annientamento di una generazione?
L'articolo che Marc dedica alla questione (" Drogue et littérature de jeunesse"), è uno di quelli più lungamente pensati. Ed ha una genesi precisa.
Il testo lo aveva elaborato per un convegno indetto dagli scrittori colombiani a Bogotà. Non potendo egli partecipare all'incontro, mi chiese di pensare insieme le tesi della relazione, e di sostenerle in sua vece alla tavola rotonda prevista per l'occasione.
Ma in quelle settimane il cartello di Medellin seminava di morti le vie di Bogotà, e io gli dissi francamente che non me la sentivo di intraprendere quel lungo viaggio e di svolgere quella missione. Anche Susie Morgenstern e Claude Gutman, interpellati, gli risposero di no, e Marc inviò per posta il suo testo.
Poi scoprimmo che non era mai arrivato. «Sono certo che è stato censurato », mi disse Marc con amarezza. Il suo scritto, infatti, conteneva accuse precise ai governi e alle loro complicità con i trafflcanti.
«Anni fa, in Brasile, mi scagliai pubblicamente contro la violazione dei diritti umani in quel paese, e mi fecero passare una notte in prigione». L'articolo, modificato e ampliato, è ora inserito nella sua Guide. Marc era riluttante a usare di nuovo il termine Guide per il suo lavoro. Gli pareva troppo ambizioso perché troppo direttivo. Ma l'editore ha insistito, dicendo che l'opera era ormai nota con quel titolo. Quanto a Marc, il titolo con cui presenta il suo lavoro è questo: La letteratura per l'infanzia, correnti, problemi, prospettive. In questa nuova edizione, la visuale è geograficamente molto ampliata, è "meno esagonale", cioè meno legata alla cultura francese. È rimasto inalterato l'ordine alfabetico, perché la forma breve e scorrevole degli articoli, come quelli di un dizionario, piaceva a lui, ma, credeva, anche al lettore frettoloso dei nostri giorni.
Insieme alla ricca erudizione di uno studioso pieno di scrupoli, alla grande capacità di spaziare in tanti campi del sapere, la Guida è, a suo modo, una sorta di testamento spirituale. L'infanzia è sempre stata il tema privilegiato dei lavori di Marc, una sorta di vessillo del suo impegno etico per rendere più umano il nostro mondo.
Sapeva quanta ferocia può incistarsi nella famiglia, ma sapeva anche quanto grandi potevano essere le risorse morali di questa istituzione. In fondo, mi diceva, se io ho potuto sopravvivere in una situazione estrema, è stato grazie al sostegno di mia moglie e delle mie figlie.
Perciò, in quel bellissimo libro che è La settimana della cometa, fa dire a Norberto: «Un giorno, impareremo senza dubbio a fare a meno delle famiglie. Ma, nel frattempo, cerchiamo di farne un luogo in cui ci si incontri, bambini e adulti, un luogo in cui ci si parli e ci si ascolti»

Il dialogo con l'infanzia
Era straordinario, per me, vedere Marc, privo di parola, "dialogare" con i suoi nipotini. Li osservava con acutezza e poi mi riferiva per lettera i loro progressi. Ma dialogava anche con i miei alunni, ai quali non faceva mai mancare i cioccolatini a Pasqua e a Natale. Inventava delle storie apposta per loro e si teneva soddisfatto dei disegni con cui essi lo compensavano e che gli permettevano di seguire la loro crescita.
E volle dialogare, infine, anche con i ragazzi italiani, per i quali scrisse dei racconti che pubblicai sul Giornale dei Bambini. Non ho mai rivelato a nessuno, però, l'origine di una favoletta-apologo che gli pubblicai sul numero 8-9, sett./ott. 1994 di Peter Pan, intitolata Pic Pic e Verdolina, e il cui sottotitolo, voluto espressamente da Marc, era: Un racconto attuale per i ragazzi italiani. Quando le destre vinsero le elezioni nel nostro Paese, Marc mi disse di essere preoccupato e addolorato. Nella sua memoria, il fascismo aveva inciso ricordi indelebili. E ne temeva sempre il risorgere, sia pure sotto altre spoglie. «Dato che non posso rivolgere un discorso politico ai piccoli lettori del tuo Giornale, parlerò loro per metafora », mi disse.
In Pic Pic e Verdolina, uno scorpione si fa trasportare da una rana attraverso il fiume, dopo averle promesso che non la pungerà. Ma nel mezzo della traversata, la punge e la uccide.
<< Pungerti era contro il mio interesse, ma faceva parte della mia natura », le dice prima di morire.
Insomma, il fascismo non cambia.
Volevo parlare della nuova Guida di Marc, perché credo che abbia molto da dire a scrittori, critici, adulti in genere che si occupano di letteratura per ragazzi, e ho finito col parlare di un uomo che amò la vita e seppe farla amare agli altri con un coraggio straordinario. Ma, in fondo, non c'è contraddizione. Vita e letteratura non andarono mai disgiunte nell'avventura terrena di questo grande studioso, la cui amicizia molto mi ha segnato e cui va il mio grato ricordo.

Un futuro come e per chi
LG argomenti - Luglio/Settembbre 1998

Mi è stato chiesto di "partire da Jessica" per fare delle riflessioni su come le nuove generazioni si preparano ad affrontare il futuro, o il "nuovo millennio", come ormai pomposamente si dice.
E allora per forza devo partire da me, visto che Jessica (come Valentina e Giacomo, del resto) sono dei perfetti alter ego dei quali mi servo per raccontare me stesso insieme all'infanzia e agli adolescenti d'oggi.
Dico subito che non mi hanno mai attirato le svolte e i passaggi epocali che sembrano connessi a eventi simbolici, o a date magiche. Più saggiamente, credo, ho sempre cercato le prove dei cambiamenti in atto negli eventi minimi che modificano la vita dei bambini, dei ragazzi e degli adulti nella loro quotidianità.
Sin da bambino, il futuro mi ha spaventato, o esaltato, per ragioni molto concrete e afferrabili. Era sempre il futuro del giorno dopo, delle settimane che verranno, dei prossimi mesi. Il futuro, insomma, di chi vive in una situazione di provvisorietà. La provvisorietà un po' randagia e vagabonda di chi sente venir meno le sue radici e non sa dove finirà con l'accamparsi.
Ecco perché ho imparato presto a non sentir come ostile il mondo che mi circondava: dalle terre aride e bruciate di una Puglia sempre assetata, ai boschi gonfi di vita e di umori di una Auvergne inquieta e dignitosa. Di volta in volta, ai miei occhi, quel mondo era duro, aspro, solenne: come può esserlo per un cucciolo che impara giorno dopo giorno a fare i conti con i vincoli dell'ambiente nel quale la natura lo ha fatto nascere e gli impone di giocarsi il suo destino.
E non sentivo come ostile nemmeno la varietà di tradizioni e di razze con cui ho imparato presto a confrontarmi e che mi faceva non diverso, ma uguale nel mare di una umanità sempre in viaggio o alla deriva.
Perciò sul futuro si investivano ansie molto precise: un lavoro da trovare, una casa da affittare, degli abiti decenti da acquistare, il cibo da procurarsi e una scuola da frequentare con un gesto di coraggio e di fiducia.
Dunque niente attese millenaristiche, ma la pazienza di chi comincia la sua giornata sperando di arrivare a chiuderla con il minor danno possibile.
Eppure questo non era un lasciarsi vivere, perché in quella quotidianità fatta di incertezze e di affanni si scommetteva con cocciutaggine sul domani di chi cresceva.
Oggi che gli adulti sono accusati di essere assenti e distratti verso i più giovani, io posso dire di aver conosciuto adulti generosi, forti, disposti a naufragare pur di assicurare una identità e un futuro a chi diventava grande.

In viaggio, oltre il passato
Questa premessa era forse necessaria, perché gli anni di formazione te li porti dentro come un retaggio ineliminabile. Poi ti servirà l'intelligenza, la curiosità, una grande disponibilità per non fartene condizionare oltre un certo limite.
So per esperienza che chi viaggia e incontra esemplari sempre diversi di umanità, corre meno il rischio di fossilizzarsi in una visione della vita fatta di stereotipi e di luoghi comuni.
Ho sempre odiato i predicatori e chi amministra saggezza d'accatto. Di solito è gente troppo soddisfatta di sé, fanatici che non vedono oltre i confini che si sono dati per pusillanimità e per paura. Ne sto alla larga perché infondono miasmi capaci di isterilire e di asfissiare.
E così gli intellettualismi che spesso vi sono connessi e gli egoismi beceri che ti fanno guardare i diversi venuti da lontano come torme di appestati.
Perché queste precisazioni che possono sembrare il credo un'anima bella infastidita da miserie che non la toccano?
Le ho fatte per entrare in tema, per arrivare a Jessica, ai bambini con i quali lavoro, agli adolescenti per i quali scrivo.

Scrivere per i ragazzi il sogno e la realtà
Sono diventato scrittore per puntiglio e per scelta. Avevo delle cose da dire e delle esperienze da raccontare, e volevo farlo rivolgendomi soprattutto ai più giovani. Non avevo una morale da insegnare, ma un presente sul quale avevo imparato a riflettere e un futuro sul quale volevo puntare.
E siccome non avevo mai smesso di sognare, volevo dire ai miei lettori: non vergognatevi di farlo anche voi e non lasciatevi irretire da chi vi richiama alla durezza della realtà, perché quella realtà gli sta bene e, cambiandola, potrebbe mettere in pericolo le sue sicurezze e le sue comodità.
Le sicurezze sono importanti, perché è necessario comunque sentirsi ancorati a punti precisi per guardare oltre e fare dei passi avanti. Ma diventano catene quando ti immobilizzano e ti tengono lontano dagli altri, Jessica è nata con questo intento preciso. Non per predicare una ideologia (ho già detto il mio odio per i predicatori), ma per tallonare da vicino una infanzia e una adolescenza raccontate secondo la loro verità.
Chi scrive per i ragazzi sa che non può barare. E io non ho mai barato. Perciò Jessica è diventata una sorta di vessillo e di punto di riferimento per una fetta consistente di adolescenti in questo paese.
Di qui le tantissime lettere che sono arrivate all'autore del personaggio e che presto si sono trasformate in una occasione per riflettere insieme sul presente e sul futuro, sulla realtà e sul sogno, sul timore e la speranza di chi cresce e non vuole arrendersi.
So bene che gli adolescenti sono sempre pronti a posare la testa sulle spalle di chi dice di capirli e di comprendere i loro tormenti e i loro disagi. Ma anche con loro, è difficile barare. Gli adulti sazi che credono di saperla lunga non ottengono udienza. Gli adolescenti hanno bisogno di adulti che sappiano ascoltare e tacere. Anche se non devono essere adulti infantili, remissivi, immaturi.
E di questi, oggi, ce ne sono fin troppi in giro. Sono adulti che hanno paura del futuro, che hanno paura di invecchiare e che temono di perdere un treno che in fondo non è il loro. Il giovanilismo imperverso e rende un pessimo servizio proprio ai giovani, che possono essere giovani solo in un mondo in cui gli adulti invecchiano senza rinunciare a fare la loro parte verso chi un giorno dovrà prenderne il posto.
Ecco perché non ho mai lusingato astutamente le mie lettrici ( sono le ragazze le interlocutrici privilegiate dei diari di Jessica) . Le ho invece seguite con interesse nei loro ragionamenti, negli interrogativi.che si ponevano, negli obiettivi cui dicevano di voler mirare, nei sogni che ora le travolgevano, ora le intimidivano. Ho imparato parecchio dai loro entusiasmi, dalle loro rabbie e dalle loro depressioni. E mi sono fatto un'idea precisa di come si preparano ad affrontare il loro futuro di donne.

Adulti, infanzia, adolescenza
Scrivo per i ragazzi con una serena inquietudine, ma anche con una grande responsabilità. Nessuno però la intenda nel senso opposto a quello che io le attribuisco.
Ho sempre pensato che i bambini e i ragazzi debbano essere preparati al loro futuro, al "nuovo millennio", innanzitutto rispettandoli nella loro integrità fisica e mentale. Questo vuol dire combattere insieme a loro pregiudizi e ipocrisie, vittimismi e atteggiamenti da difensori di fortezze assediate.
La libertà è semplicemente una parola quando è scritta solo nei codici o insegnata come morale sui banchi di scuola (ammesso che la si insegni). La libertà per un bambino e un ragazzo comincia innanzitutto dal diritto a possedere le parole per dirla e rivendicarla. Non credo che in proposito si faccia molto nelle scuole, dove l'adulto in genere si sente timido e sfiduciato, confuso e smarrito. E invece bisognerebbe che sfoderasse tutto il coraggio di cui dispone, per non stare con i ragazzi come una mummia o un adulto avvizzito.
Al diavolo i programmi! Lo dico soprattutto per gli insegnanti della scuola dell'obbligo, che possono trovare un senso nel loro stare a scuola se scelgono non di insegnare il mondo intero, ma di interpretare insieme ai loro alunni la realtà in cui vivono e il futuro cui si preparano. Con questo atteggiamento, possono parlare anche del passato, cominciando dal loro, che forse hanno dimenticato e che li avvicinerebbe di più ai loro alunni.

Libri per capirsi, libri per capire. Scrittori e insegnanti per il duemila
Ecco perché oggi, di fatto, nei confronti delle nuove generazioni, sono gli scrittori per ragazzi che hanno più cose da dire e da "insegnare". E non facciamoci intimidire da questo verbo. Ogni storia, ogni libro, ogni romanzo insegna qualcosa a qualcuno: a capirsi, a capire, a vivere.
Dico sempre agli insegnanti che se vogliono farsi complici dignitosi dei loro alunni, non possono gingillarsi con i "classici" o con Manzoni.
Entrino invece in una libreria per ragazzi, leggano i libri di autori che su vari punti del pianeta osservano i bambini e gli adolescenti, li raccontano, li intrigano, li appassionano e li aiutano a prendere consapevolezza di sé e del mondo in cui vivono.
Quei libri da anni danno un significato profondo al mio stare a scuola. Sono libri che mi consentono di avvicinare i più riottosi e i più ribelli dei miei alunni. Libri che mi aiutano a dialogare con i più chiusi e i più umiliati dei bambini che popolano certi nuclei familiari e certe squallide periferie. Libri che gettano squarci di luce, a volte cruda, su un mondo fatto di silenzi e di grigiore.

Padri e figli, tragedie e gioia di vivere
Dunque ne abbiamo di strumenti fra le mani per incoraggiare i più piccoli a sentirsi più forti in un mondo che sbriciola certezze un giorno dopo l'altro.
Bisogna innanzitutto che gli adulti non si sentano degli eterni ritardatari, che sappiano guardare con curiosità i cambiamenti in corso, che non guardino come degli alieni rivoltanti i bambini e gli adolescenti che hanno in casa, che incontrano a scuola, che circolano nelle metropoli.
Abbiamo bisogno di adulti che non si mimetizzino, che non si infantilizzino per vigliaccheria o per narcisismo e che non vedano fuori le tragedie che si portano dentro.
Non sto dicendo che essere padri e insegnanti oggi sia facile. Ma se si è disimparato a farlo, si deve in fretta reimparare a esserlo, se non si vogliono abbandonare al caos figli e alunni.
Io mi considero fortunato non solo perché riesco a fare l'insegnante come voglio, e cioè dalla parte dei bambini e del loro futuro. Ma anche perché sono uno scrittore per ragazzi.
Questa "limitazione" a volte sembra offendere qualcuno: e la cosa è per me supremamente ridicola. Ci si provi a scrivere un libro per ragazzi che funziona, che dura nel tempo, che segna un'età tipicamente difficile e di passaggio!
Non è per niente semplice. Perciò considero il mio lavoro uno dei più belli, dei più gratificanti, dei più significativi.
Nei libri che scrivo non parlo di tragedie, perché nel futuro dei miei alunni e dei miei figli non vorrei che ce ne fossero. So benissimo, però, che i ragazzi le incontrano ed è giusto che altri scrittori diano voce alle sofferenze terribili che coinvolgono bambini e adolescenti.
A queste, tuttavia, cerco di porre rimedio col mio lavoro di insegnante che a scuola è messo di fronte a storie dolorose, e con la coscienza di un uomo che vive il suo tempo senza veli sugli occhi.
Ma nei libri che destino ai ragazzi preferisco accompagnare i lettori alle soglie del duemila con l'esuberanza, la vitalità e la gioia di vivere della mia Valentina.

Voglio diventare un lettore come te
Leggendo Leggendo - 1995

Quali valori si trasmettono, concretamente, attraverso la lettura in classe?
Quali sono i meccanismi che spingono un insegnante a farsi un portatore di storie per i suoi allievi?
Quali benefici se ne ricavano nel rapporto didattico?
Angelo Petrosino, insegnante e autore per l'infanzia, ci ha raccontato la sua esperienza.

Questo strano mestiere di insegnante-lettore
«Mi piace, quando leggi, come muovi le mani, come trasformi la voce, come ci guardi negli occhi. Da grande, anch &lsquo;io voglio diventare un lettore come te». Alessandro ha nove anni, e da tre mi accompagna in questo strano mestiere di insegnante che svolgo in una dimessa periferia di Torino. Quante volte, nel corso di questi anni, ho visto la sua testa rovesciata all'indietro, i pugni stretti, il corpo scomposto, teso ad ascoltare le storie che leggevo. Quante volte ho assistito ai suoi scoppi di risa, ai dondolii pensosi del suo capo, a seconda che lo conducevo sui sentieri dell'umorismo o sulle strade più solitarie in cui si fanno conti meno facili con la vita! E con lui ne avevo al fianco altri ventiquattro, fra bambini e bambine. Altri ventiquattro corpi inchiodati nell'attesa di conoscere come sarebbe finita la storia che leggevo, e come se la sarebbero cavata i bambini che agivano tra le pagine. Le frasi seguite dalle frasi, le emozioni incatenate alle emozioni, le sorprese che rompevano le fila di una vicenda prevedibile, e la mia voce, ormai addestrata, che governava il silenzio di chi mi ascoltava... Un silenzio incrinato di quando in quando da sussulti e da brividi, o da attese e desideri impossibili. E quando, al termine della mia lettura, dicevo: «Continueremo domani», Alice saltava in piedi e chiedeva: «No, Angelo, più tardi, quando facciamo merenda». Va bene, Alice. Adesso fammi dare una tregua alle mie fauci riarse e fammi mangiare una caramella. E intanto do un'occhiata alla nostra aula, con gli scaffali addossati alle pareti, i libri allineati sui vari ripiani come un ininterrotto nastro colorato. Questi scaffali furono costruiti con materiali di recupero da un paio di genitori, e anch'io diedi una mano a trasportarli in classe. Avvenne molti anni fa, quando questa scuola, l'Anna Frank di Torino, era una sorta di avamposto in un deserto fatto di rabbia e di miseria. Oggi i bambini che la frequentano sono molto cambiati: sono più curati, più amati, più tranquilli. Ma sono anche bambini inquieti, curiosi, insofferenti dei luoghi comuni e degli stereotipi che gli adulti gli appiccicano addosso. Sono bambini affamati di emozioni, vogliosi di capire e di contare per se stessi. Ma è sempre stato così, lo so. Ed è per questo che sin dal primo giorno in cui misi piede in una scuola di stato, decisi che avrei fatto soprattutto il lettore: uno, insomma, che regala storie e che semina di domande il suo cammino.

Sessanta occasioni per sentirsi vivi
Nei tre anni che ho passato con Alessandro e i suoi compagni, ho letto più di sessanta libri. Non ho lasciato passare un solo giorno senza che i bambini mi ascoltassero leggere una storia o un capitolo di un libro. Con la lettura li accolgo la mattina, li tranquillizzo dopo l'irruenza degli intervalli , li stuzzico mentre fanno merenda prima di andare a casa. Sessanta libri vogliono dire sessanta modi di guardare il mondo, sessanta modi di ripensare se stessi, sessanta occasioni per sentirsi vivi. E li conosco bene gli sguardi di complicità che mi raggiungono dopo un'ora di intensa lettura, i dialoghi che si intrecciano tra i bambini, le lettere incorniciate che arrivano sulla mia scrivania. Lettere in cui, raccontandosi, i bambini finiscono col dirti la gratitudine che hanno per te che li hai sottratti alla banalità del quotidiano, quando il quotidiano è vissuto in silenzio e senza aspettative di cambiamento. La mia conoscenza dell'infanzia non è fatta di studi, di statistiche e di inchieste. I bambini li conosco perché circolo tra loro con discrezione, con curiosità, sempre disponibile a capire e ad ascoltarli. E i libri mi sono sempre serviti per aumentare le occasioni di dialogo. E' grazie alle mie letture che i bambini più introversi, i bambini più soli, i bambini più irrequieti e in guerra con gli adulti mi hanno concesso totale fiducia e si sono raccontati senza pudore. Io li ascoltavo e non mi tiravo mai indietro, anche quando le domande si facevano più puntuali e i dubbi facevano vacillare le coscienze. Poi tornavo a leggere. E nelle pagine dei libri che leggevo, di quando in quando affioravano le risposte che a volte non avevo saputo dare. E quei libri, per alcuni dei miei alunni, costituivano a lungo un incontro decisivo. Libri dei quali mi capita ancora di parlare al telefono con bambini diventati adolescenti, e che si rifanno vivi per rievocare anni attraversati da parole piene di senso.

Tante storie per sognare
Molti scrittori amano rievocare le letture della loro infanzia. Io, nella mia infanzia, non ebbi mai a che fare con i libri. I libri, nelle nostre case, non potevano occupare il tempo che ci serviva per procurarci da vivere. Il mio tempo, in particolare, era tutto speso in una sorta di vita selvaggia consumata nei campi, nei burroni e intorno alle pozze gonfie d'acqua piovana. Ma la sera, al mio rientro, la mia frenesia era placata dalla voce di un narratore d'eccezione: mio nonno, un vecchio minuto che aveva vagabondato a lungo nella Terra di Lavoro e che s'era portato dietro un milione di storie. Si faceva tardi con lui, anche nelle sere d'inverno, quando una moltitudine di nipoti si accalcava infreddolita intorno ad un braciere. Ma quando andavo a letto, ero certo che avrei sognato parecchio. E con le sue storie continuai a sognare anche quando, una sera, salii su un treno ed emigrai verso paesi lontani nei quali avrei imparato a perdermi. Chi sa, nelle tante ore di lettura che oggi regalo ai miei alunni, forse torna la memoria di quel vecchio che con le sue storie mi rese amica la notte. Ma torna anche la mia vita di sradicato e quella dei tanti scrittori per ragazzi che si raccontano attraverso i protagonisti infantili dei loro libri. «Un giorno vorrei diventare un lettore come te». Lo so, Alessandro, che un giorno non farai il mio mestiere. Ma sono certo che anche tu, prima o poi, finirai col seminare di storie la tua strada. Fortunati quelli che le raccoglieranno!