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© Angelo Petrosino. E' vietato riprodurre su altri siti o piattaforme anche piccole parti del testo senza il consenso esplicito dell'autore. Le illustrazioni sono di Sara Not e protette da copyright.

LE AVVENTURE DEL PASSERO SERAFINO

le avventure del passero serafino

Prefazione di Angelo Petrosino

Care bambine e cari bambini,
la gatta Ludovica si sta guadagnando rapidamente la simpatia e l'affetto di tante lettrici e di tanti lettori. Sarà una bella compagnia per la vostra estate. Le illustrazioni di Sara Not si fanno guardare e riguardare e, anche grazie a lei, Ludovica sembra viva e reale. Mi stanno scrivendo tanti amanti dei gatti e molti paragonano il carattere di Ludovica a quello dei loro amici felini.
Nei mesi scorsi, ricorderete, sulle nostre città e sui nostri paesi è calata una cappa di silenzio quasi irreale. In quel silenzio, mi ha molto colpito il canto ininterrotto degli uccelli. Suscitava molta tenerezza così come i loro voli facevano pensare con nostalgia alla nostra libertà smarrita.
Tra di noi gli uccelli più comuni sono i passeri. Piccoli, chiassosi, continuamente saltellanti con le loro corte zampette. Li ho sempre osservati con simpatia sin da quando ero bambino. Vivevo in prossimità della campagna e mi tenevano costantemente compagnia.
Nei mesi scorsi, affacciato dal balcone, ne ho seguito i brevi voli da un marciapiede a un altro, dal tetto di un palazzo a un altro, dal ramo di un albero a un altro.
Un giorno ne ho fissato uno che era venuto a riposarsi sulla ringhiera del mio balcone, e ho deciso di scrivere un libro su di lui. Che nome dargli? Il passerotto mi comunicava molta serenità e, per pura assonanza, ho deciso di chiamarlo Serafino.
Il libro è pronto, si intitola LE AVVENTURE DEL PASSERO SERAFINO ed è stata una vera gioia scriverlo. Il mio Serafino è un passero curioso, ostinato, intraprendente, desideroso di conoscere il mondo in tutte le sue pieghe, di entrare nelle vite degli altri ascoltandone le storie e contribuendo a cambiarle un po' con le sue iniziative.
Vi sorprende che un passero possa fare tante cose? Serafino può. Ogni suo volo è una scoperta, ogni incontro una avventura.
A settembre, finalmente, si torna a scuola. Allora ho pensato di darvi anch'io il mio benvenuto in classe. Come? Pubblicando sul sito, dal 21 settembre, i primi sei capitoli del libro.
Altre novità? Una, grandissima: anche questo libro sarà illustrato dalla mitica Sara Not. Sono certo che il suo passero Serafino vi entrerà nel cuore come la gatta Ludovica.
Buona estate a tutti.
Angelo

Chi e' Sara Not

Sara Not è una delle più note illustratrici di libri per l'infanzia(e non solo) nel nostro Paese. Ha illustrato decine di libri con molte case editrici: romanzi, racconti, poesie. È famosa e molto amata per aver dato una fisionimia inconfondibile al personaggio di Valentina creato da Angelo Petrosino, con il quale collabora da vent'anni. Ama molto disegnare i gatti. Ecco perché ha deciso di fare un regalo preziosissimo alla storia di Ludovica, rappresentandola con tenerezza, affetto, rispetto per la sua individualità indipendente.
Seguila su Instagram: saranot.illustration

Lettere ad Angelo e Serafino

1° Capitolo

Nascita di un passero

Il passerotto nacque una mattina di aprile. Dopo aver dato un'ultima beccata, il guscio dell'uovo che lo conteneva si spaccò in due e si affacciò alla vita.
Suo padre e sua madre strabuzzarono gli occhi.
-Non è possibile.
-Non è mai successo prima.
-Qualcosa è andato storto.
Perché tante esclamazioni di incredulità, vi starete chiedendo?
È semplice. Il passerotto appena uscito dall'uovo, anziché essere nudo, come sono tutti gli uccelli quando vengono alla luce, aveva piume e penne già formate e sembrava pronto a spiccare il volo.
-Cos'avete da meravigliarvi? - chiese il nuovo nato, scrollandosi tutto.
-Non è così che si nasce - disse sua madre.
-Ho fame, perché non mi date da mangiare?
E spalancò il becco, in attesa di un cibo che lo riempisse e lo saziasse.
-Vado a procurarmi qualche larva, un insetto, un po' di grano, quello che trovo, insomma. Non muoverti dal nido -disse suo padre.
Si affacciò dalla cavità del tronco nella quale aveva fatto il nido e si accinse a spiccare il volo, dopo aver guardato perplesso la moglie.
-Vai, vai - lo esortò lei. -Ci penso io a tenerlo d'occhio.
Il passerotto si scrollò di nuovo.
-Come ti senti? - gli chiese la madre.
-Ho le ossa un po' indolenzite. Non vedevo l'ora di uscire da quel guscio che mi imprigionava. Era bello duro. Come mai?
-Era come sono tutte le uova dei passeri.
A un certo punto il passerotto sollevò la testa e cercò di guardare fuori dal nido.
-Cos'è questo frastuono? - chiese.
-Sono i bambini dell'asilo che fanno ricreazione all'aperto. L'albero di tiglio nel quale tuo padre ha preparato il nido è piantato proprio al centro del loro cortile. Lo ha scelto perché è più sicuro.
-Voglio vedere questi bambini.
-Li vedrai un altro giorno, adesso pensa a crescere.
-Ma io sono già cresciuto.
Il passerotto aprì le ali a fatica, perché il nido era troppo piccolo per dispiegarle appieno.
-Vuoi vedere che so già volare? - disse alla madre.
-Non ci provare.
-Perché?
-Perché non l'hai mai fatto. Potresti precipitare dall'albero e farti male.
-Sono sicuro di riuscirci bene.
-Non cominciare a voler fare di testa tua. In genere occorrono almeno una decina di giorni prima di imparare a volare. È sempre stato così con gli altri figli che tuo padre e io abbiamo avuto.
-E dove sono ora?
-Sono andati a vivere per conto loro.
-Voglio andarci anch'io.
-Tuo padre ti ha detto di non muoverti dal nido.
-E va bene. Speriamo che torni subito. Ho tanta fame. Ecco, adesso sbadiglio.
E spalancò il becco strizzando gli occhi.

2° Capitolo

Ho ancora fame!

Papà passero tornò quasi subito. Aveva nel becco un paio di insetti e li infilò direttamente nella gola del figlio.
-Tutto qui?
-Esco di nuovo - sospirò il padre.
-Non lo hai nemmeno ringraziato - osservò la madre.
-Che cosa dovevo dirgli?
-Niente, lascia perdere.
Il padre tornò poco dopo.
Aveva due grani di miglio nel becco e anche questi finirono direttamente nella gola avida del figlio.
Il passerotto continuò a tenere aperto il becco, aspettando il resto.
-Ho capito, esco di nuovo - disse il padre.
-Fai presto, ho ancora la pancia vuota.
Mentre il padre volava via, il passerotto disse: -Ho dimenticato di dirgli grazie. Glielo dirò quando mi sarò saziato.
-Questo è l'ultimo volo che fa - disse la madre. -Ha bisogno di riposarsi anche lui.
Papà passero rimase assente un po' di più questa volta.
-Come mai non torna? - chiese il passerotto.
-Che cosa credi, che sia facile trovare da mangiare? - gli rispose la madre. -La vita è piena di imprevisti e quella di un uccello non è fatta solo di canti e di voli, ricordalo. Lo capirai da solo quando sarai tu a cercare il cibo che ti servirà per sopravvivere. Sai già fare dei versi?
-Credo di sì.
Il passerotto si mise a cinguettare riempiendo il nido di note dolci e stridule, rabbiose e allegre.
-Sono stato bravo? - chiese alla madre quando tacque.
-Abbastanza. Figliolo, se devo dirti la verità, sono un po' preoccupata.
-Perché?
-Perché non c'è nulla di normale in te. Tu già pensi di poter fare tutto, e invece hai bisogno di fare esperienze per imparare. Potresti farti male, ecco.
-Che cosa mi può succedere?
-Come faccio a dirlo? Hai dei nemici in cielo e in terra. Ci sono degli uccelli più grandi di te, per i quali saresti un boccone prelibato. Un gufo, per esempio. E dunque devi imparare a conoscerli e a fuggirli. Quanto ai nemici di terra, devi guardarti soprattutto dai gatti. Non devi mai avvicinarti troppo a loro. Sembrano distratti, ma scattano quando meno te l'aspetti. E una volta che ti hanno ghermito, non ti lasciano più andare.
Una volta sono sfuggita appena in tempo a un gatto soriano. Per lui ero solo un giocattolo. Ce n'è uno che ronza spesso intorno all'asilo. Lo conoscerai presto. Per fortuna il nido è costruito molto in alto ed è protetto da tante foglie. I gatti sono bravi ad arrampicarsi sui tronchi, ma quassù siamo al sicuro. Ecco tuo padre.
Questa volta papà passero aveva il becco ricolmo di polpa di pera matura.
E anche questa finì direttamente nella gola del figlio, che disse: -Era proprio buona, adesso sono sazio.
-Meno male, sono sfinito - disse il padre. -Fammi un po' di spazio. Voglio riposarmi.

3° Capitolo

Prima esplorazione

Per due giorni, il passerotto se ne stette quieto e buono nel nido, in attesa che i suoi genitori gli portassero da mangiare. Inoltre, ascoltava con attenzione i loro ammonimenti e le loro lezioni, perché non si mettesse in pericolo.
Il terzo giorno, però, cominciò ad annoiarsi per la vita monotona che conduceva. Aveva voglia di lasciare il nido e di esplorare il mondo, anche se gli ripetevano che era ancora presto per farlo.
Così, quando i suoi genitori partirono alla ricerca quotidiana del cibo, il passerotto decise di scendere di ramo in ramo e di atterrare nel cortile dell'asilo. I bambini erano usciti a giocare e facevano il solito chiasso.
Chi si lanciava lungo lo scivolo, chi si nascondeva nelle casette di legno colorato, chi faceva goffe capriole sull'erba.
A un certo punto, però, smisero di giocare e cominciarono a sbocconcellare le merende che avevano portato da casa.
Quando il passerotto piombò nel cortile facendo un capitombolo, fu tutto un coro di:
-Guardate, un uccellino.
-Io gli do un po' di pane.
-Io una ciliegina.
-Io un pezzo di torta.
-Io un cucchiaino di marmellata.
Il passerotto ascoltava imbarazzato quelle offerte variegate che, però, lo ingolosivano.
Quasi subito arrivò una maestra, che interruppe quel cicaleccio e disse a bassa voce: -Piano, bambini, non gridate, non spaventatelo, è ancora un pulcino e dev'essere caduto dal nido. Se lo toccate, sua madre lo abbandona e non vorrà più saperne di lui.
Il passerotto voltò gli occhi in su e fu sul punto di dire alla maestra: - Macché caduto! Io sono sceso di mia volontà e sono capace di tornare nel nido quando voglio, senza bisogno di aiuto. E non sono un pulcino.
Ma stette zitto e andò a rintanarsi dietro il tronco dell'albero. Si rese subito conto che aveva le zampe troppo corte e che, non riuscendo a camminare, doveva per forza saltellare per spostarsi.
-Poco male - si disse. -Va bene anche così
Quando la maestra tornò a chiacchierare con le altre colleghe, il passerotto venne fuori dal suo provvisorio nascondiglio e si avvicinò ai bambini.
Non voleva rinunciare alle prelibatezze che poco prima gli avevano promesso.
Assaggiò tutto quello che gli offrirono: biscotti sbriciolati, torsoli di mela, briciole di pane, frammenti di torta, un po' di marmellata che una bambina gli porse sulla punta di un dito.
-È marmellata di mirtilli- specificò. -Spero che ti piaccia.
Il passerotto non rifiutò nulla e quando fu sazio, decise di rientrare nel nido.

4° Capitolo

Utili raccomandazioni

Mezz'ora dopo i suoi genitori erano di ritorno.
La madre aveva nel becco dei grani di riso raccolti davanti a un supermercato, il padre stringeva nel suo un paio di insetti, che aveva afferrato al volo andando dietro a un signore che stava tosando l'erba di un prato.
Il passerotto, però, che aveva la pancia piena, disse che non aveva fame.
-Come sarebbe a dire che non hai fame? - gli chiese il padre.
-Ma se ti lamenti sempre che è troppo poco quello che ti portiamo! - esclamò la madre. -Hai mal di pancia? Non stai bene?
-Oh, no, sto benissimo. Ma oggi non ho fame.
-Tu non me la conti giusta. Non sono mica nata ieri. Vediamo un po'…Scommetto che sei sceso dall'albero.
-Perché avrei dovuto farlo?
-Per mettere il becco in cortile.
-Come hai fatto a indovinare?
-Dunque, ho indovinato.
-Mi stavo annoiando e avevo voglia di muovere le zampe.
-E così hai fatto il tuo primo volo.
-Non è stato difficile. Ho fatto solo un piccolo capitombolo quando sono saltato a terra.
-E scommetto che i bambini ti hanno dato da mangiare.
-Sì, mi hanno dato un sacco di cose buone.
-Vergognati.
-Perché?
-Perché hai disubbidito a degli ordini precisi. E hai mangiato cose che potrebbero farti male perché non fanno parte della tua dieta.
-Ma io sto bene e quelle cose le mangerei di nuovo.
-Almeno per i prossimi dieci giorni ti proibiamo di lasciare il nido - disse il padre.
-Se proprio mi obbligate…
-Tra dieci giorni potrai fare quello che vuoi. Possiamo anche lasciarti il nido. Io e tua madre ci trasferiremo nell'altro che ho costruito nella cavità di un muro.
-Posso vederlo?
-Non riesci proprio a stare fermo, vero?
-No. Tra queste foglie c'è poca luce.
I due genitori entrarono nel nido e strinsero tra loro il passerotto.
Per un po' stettero tutti zitti.
Poi la madre disse: - Presto avrai la padronanza assoluta delle tue ali e potrai lanciarti nell'aria. Noi passeri non abbiamo paura delle persone, siamo abituati a vivere in mezzo a loro e non siamo nemici. Ma un po' di prudenza non guasta. Perciò sii cauto. Avvicinati a chi ti offre del cibo, ma non troppo. In giro c'è sempre chi gioca ad ingannare gli altri e a far del male agli ingenui. Noi siamo fragili e basta una piccola pressione sul nostro corpo per toglierci la vita.
Il passerotto credeva a quello che i suoi genitori gli dicevano, ma non si lasciava spaventare dalle parole con le quali lo mettevano in guardia.
Quando era atterrato in cortile, aveva saltellato con disinvoltura e si era sentito padrone assoluto del suo corpo e delle sue forze.
Tuttavia, disse ai suoi genitori: -Me ne ricorderò.
E aggiunse: -Datemi quello che avete portato. C'è ancora un po' di posto nella pancia.

5° Capitolo

Tante finestre, tanti balconi

Di fronte all'asilo, oltre la strada, c'era un grande palazzo a sei piani.
Dalle finestre e dai balconi si affacciavano donne, anziani, bambini. Qualcuno sbatteva tappeti, qualcuno scuoteva lenzuola, qualcuno innaffiava vasi di fiori.
Il passerotto aveva cominciato a interessarsi subito a quelle figure che riempivano l'aria con le loro conversazioni da finestra a finestra, da balcone a balcone.
-Ciao, Luisa, hai dormito bene?
-Macché, sono due notti che mi sveglio alle tre e non riesco più a prendere sonno.
-Che cosa ti preoccupa?
-Apparentemente nulla.
-Dev'esserci qualcosa.
-Ciao, Letizia. Non dovresti essere a scuola?
-Oggi non ci sono andata, ho mal di pancia.
-Un mal di pancia vero?
-Un po' vero, un po' falso. Ho un'interrogazione per la quale non sono preparata e non me la sono sentita di affrontarla. Non mi piace fare brutte figure davanti ai miei compagni.
-Ancora in pigiama, Attilio?
-Eh, adesso che sono in pensione mi piace poltrire a letto la mattina.
-E fai male. Bisogna che ti mantieni attivo. Perché non vieni al nostro circolo? Conversiamo, inventiamo indovinelli, impariamo a usare il computer con l'aiuto dei ragazzi.
-Ci penserò.
Su uno dei balconi, il passerotto aveva scorto una gabbia. Dentro c'era un uccellino dalle piume colorate. Non faceva altro che saltare da un posatoio all'altro.
Il passerotto si chiese se quel poveretto, che era persino più piccolo di lui, avesse mai volato in piena libertà.
Decise che, prima o poi, sarebbe andato a trovarlo.
Ma voleva anche posarsi sui davanzali delle finestre per guardare all'interno delle stanze e osservare chi le abitava.
Chi glielo avrebbe impedito? Nessuno. Le sue ali lo avrebbero portato dappertutto e presto le avrebbe messe alla prova.
L'ebbrezza del volo doveva essere meravigliosa e voleva vivere la sua vita al massimo.
Lo disse a sua madre, che però lo ammonì: -Ricorda che nella nostra vita le pause sono necessarie quanto i voli.
Il giorno prima di lasciare il nido con il marito, quando si fece buio volò con il figlio sulla cima del tiglio, gli mostrò la luna e le stelle e gli disse: -Noi siamo animali diurni, ma a me è sempre piaciuta anche la notte. Soprattutto quando è dolce e serena come questa. Buona fortuna, figliolo.

6° Capitolo

Un vecchio gatto

Partiti i genitori, il passerotto provò delle sensazioni contrastanti. Da una parte era contento di avere il nido tutto per sé. Dall'altra gli sembrava troppo grande per un solo passero.
-Mi abituerò - pensava.
E si preparò ad affrontare la prima notte da solo. Era sicuro che non sarebbero arrivate sorprese nel sonno. Il nido era ben riparato, protetto da una fitta barriera di foglie.
Prima di mettere il capo sotto le ali, tuttavia, decise di fare una perlustrazione nel cortile dell'asilo, per controllare che non ci fossero estranei pericolosi in giro.
Quando si posò sul ramo più basso, però, ebbe la sorpresa di veder entrare un gatto attraverso la cancellata che separava il cortile dalla strada.
Aveva il pelo arruffato, un occhio chiuso e si muoveva pesantemente come se fosse mortalmente stanco. Si vedeva subito che era un gatto anziano e malandato.
Si avvicinò guardingo a uno dei cassonetti dei rifiuti, dietro il quale c'era un piatto pieno di cibo.
Stava per cacciare il muso nel piatto, quando il passerotto, involontariamente, emise un cinguettio.
Il gatto si voltò di scatto e fissò il passero con l'unico occhio buono che gli restava.
Quindi gli chiese: - Che vuoi?
-Niente, mi sono trovato a passare di qui per caso.
-È inutile che dici bugie. Tu hai il nido sopra l'albero.
-Come fai a saperlo?
-Vi ho sentiti chiacchierare un paio di sere fa. Sei rimasto solo?
-Sì. Ma il nido è molto in alto e non ci arriverai facilmente.
-Non preoccuparti, non ho intenzione di fare l'acrobata e di arrampicarmi fin lassù. Mi restano poche forze e le risparmio come posso.
-Sei vecchio?
-Sì, e parecchio.
-Dove vivi?
-In giro. Io non ho mai avuto padroni, ma ho trovato sempre da mangiare. Ho visto più cose io di quante ne vedrai tu volando.
-Non è la prima volta che vieni in questo cortile.
-Infatti. C'è una specie di accordo tra me e una delle cuoche. Un giorno scovai un topo in cucina, lo misi in fuga e non si è più fatto vedere. Per gratitudine, la cuoca mi lascia qualcosa da mangiare tutte le sere.
-Cosa c'è nel piatto?
-Pollo arrosto e un po' di spezzatino.
-Come mai hai un occhio chiuso?
-Un giorno si è infettato. Per fortuna mi sono imbattuto in una delle donne che si occupano dei gatti randagi nella zona. Mi ha fatto curare, ma l'occhio è andato perso per sempre. Pazienza, ci vedo bene lo stesso con l'altro.
-Allora possiamo essere buoni vicini?
-Io non ti darò fastidio e non dirò a nessuno che hai il nido sull'albero.
-Torno nel nido. Tu dove andrai a dormire dopo aver finito di mangiare?
-In una delle casette di legno nelle quali giocano i bambini.
Il passerotto risalì l'albero, entrò nel nido e si accinse a dormire.
Sentì che poteva fidarsi del gatto. Accucciato in una delle casette nel cortile, era come se facesse da guardiano al suo sonno.

7° Capitolo

La maestra Gelsomina

Il mattino dopo, appena sveglio, il passerotto decise che sarebbe andato a sbirciare in ognuna delle finestre e in ognuno dei balconi del palazzo.
Si affacciò dal nido e annusò l'aria. Era profumata e pungente. Il sole era sorto da poco e i suoi raggi cominciavano ad insinuarsi tra le fronde più alte del tiglio. Si diede una scrollatina, scese di ramo in ramo fino a quello più basso, quindi spiccò il volo e andò a posarsi sul davanzale di una delle finestre del primo piano del palazzo.
Le tendine non erano tirate, le imposte erano socchiuse e poté guardare nella stanza senza ostacoli.
Ad una scrivania era seduta una giovane donna in pigiama. Davanti a lei aveva una pila di quaderni. Uno era aperto e lo stava sfogliando.
Era talmente concentrata, che non si accorse subito del passerotto.
Allora il passerotto emise un debole cinguettio e la ragazza sollevò la testa.
-Che bella sorpresa! - esclamò. -Entra, entra, ho proprio bisogno di rilassarmi un momento.
-Che stai facendo? - le chiese il passerotto.
-Sto correggendo i compiti dei miei alunni prima di andare a scuola. Faccio la maestra. Non sembra, vero? Persino i bambini mi trattano come se fossi la loro sorella maggiore. È il primo anno che insegno e sono molto emozionata.
Il passerotto volò sulla scrivania.
-Fatti guardare. Sei molto giovane. Devi essere nato da poco.
-Ho poco più di dieci giorni e nel nido sono rimasto soltanto io.
-Da bambina ho avuto un passerotto, ma è stato con me solo pochi giorni. Poi mi ha lasciata. L'avevo chiamato Serafino, come un mio compagno d'asilo. Quando lo prendevo in mano, mi beccava piano sul naso, sugli occhi e sulla bocca. Era come se mi desse tanti baci. Se non appartieni a nessuno, non devi avere nemmeno un nome. Che ne dici di chiamarti Serafino come il mio passero? Mi piacerebbe che venissi a trovarmi di nuovo. Avrei tante storie da raccontarti sui miei alunni. Adesso però devo prepararmi. Ci vogliono almeno quindici minuti di strada per arrivare a scuola. Devo lavarmi, fare colazione e rifare il letto.
-Anche tu vivi da sola?
-Sì, i miei genitori abitano lontano e io ho dovuto trasferirmi qui per poter insegnare. Vuoi fare colazione con me? Vieni, ti mostro dov'è la cucina.
Serafino (ormai aveva deciso di chiamarsi così) la seguì zampettando e saltò sulla tavola già apparecchiata.
-Vado in bagno, torno subito. Vuoi bere un po' d'acqua intanto? Ah, non ti ho detto il mio nome. Mi chiamo Gelsomina. Alcuni dicono che è un nome ridicolo. A me però piace.
Gelsomina riempi d'acqua una scodellina e Serafino ne bevve un po'.
Più tardi mangiò alcune briciole di torta allo yogurt e un po' di mela cotta.
Quando Gelsomina uscì per andare a scuola, Serafino saltò dalla finestra e si mise a volare tra le case strillando a più non posso.

8° Capitolo

Un bambino ammalato

Il giorno seguente, con un rapido volo, Serafino atterrò sul davanzale di una finestra spalancata e guardò dentro. Un bambino coricato nel letto stava leggendo un libro con la schiena appoggiata a un paio di cuscini.
Appena si accorse della sua presenza, il bambino depose il libro sul comodino e disse a Serafino: -Ciao. Vieni sul letto. Io ho la febbre e non posso stare in piedi. La mamma ha aperto la finestra per arieggiare la stanza.
Serafino volle fidarsi e si posò sul letto del piccolo.
-Mi chiamo Giulio e passo più tempo in casa che fuori, perché mi ammalo facilmente. Posso accarezzarti?
Serafino fece un paio di saltelli e si avvicinò alla mano del bambino.
-Non stringermi forte, però - gli disse.
-Voglio solo accarezzarti. Oggi non sono andato a scuola perché ho la febbre alta. Vuoi sentire come scotto? Saltami sul petto e posa la tua testa contro la mia guancia.
Serafino lo accontentò.
-Sono caldo? - gli chiese il bambino.
-Abbastanza.
-Perché non mi rinfreschi un po'?
-E come?
-Puoi frullare le ali vicino alla mia fronte.
Serafino si sollevò in volo e cominciò a frullare velocemente le ali intorno al viso di Giulio.
-Ah, che bello! - esclamò Giulio. -Grazie, grazie.
-Puoi chiamarmi per nome, se vuoi.
-Come ti chiami?
-Serafino.
-Chi ti ha dato questo nome?
-Una giovane maestra. Si chiama Gelsomina.
-Ma è la mia maestra! Abita nell'appartamento accanto al nostro. Come hai fatto a conoscerla?
-Sono andato a trovarla ieri, mentre correggeva i compiti.
-Gelsomina mi vuole bene. Veramente lei vuol bene a tutti, ma a me più che agli altri. Oggi pomeriggio verrà a trovarmi e faremo i compiti insieme.
In quel momento Serafino sentì un acciottolio di piatti in un'altra stanza.
-La mamma ha finito di pulire il bagno - disse Giulio - e sta svuotando la lavastoviglie. Tra poco verrà a chiudere la finestra.
-Allora è meglio che vada.
-Vieni a trovarmi ancora. Domani resterò di nuovo a casa, se la febbre non sarà passata.
Appena la porta della stanza si aprì, Serafino sfrecciò via e raggiunse il tetto dell'asilo.
La madre di Giulio rimase interdetta.
-Sbaglio oppure ho visto un uccello volar via dalla stanza? - chiese al figlio.
-Non ti sbagli. Era un passero, si chiama Serafino e mi ha fatto vento per rinfrescarmi il viso.
-Non aver paura, Giulio. Quando la febbre si alza troppo, capita di delirare. Adesso la controlliamo di nuovo. Vado a prendere il termometro.

9° Capitolo

Nata per volare

Serafino fu svegliato non dal solito cinguettio degli uccelli che si accingevano a partire alla ricerca del cibo.
Quello che udiva era un canto triste e malinconico. Capì subito da dove arrivava e chi lo emetteva. Era l'uccellino in gabbia su uno dei balconi del palazzo che aveva cominciato ad esplorare.
Raggiunse la punta di un ramo, si fece spazio tra le foglie e lo osservò. Continuava a saltare da un posatoio all'altro, si aggrappava ai ferretti della gabbia, tentava di sporgere la testa all'infuori. Ma, benché fosse piccolo, non ci riusciva.
Serafino si decise. Quella mattina avrebbe trascurato gli altri abitanti del palazzo e sarebbe andato a trovare il piccolo incarcerato.
In pochi secondi atterrò sul balcone. Il prigioniero si accorse di lui, smise di cantare e si girò verso la finestra.
Allora Serafino volò sul bordo della ringhiera, per essere all'altezza della gabbia.
-Perché mi giri le spalle? - gli chiese.
-Perché mi vergogno.
-E di cosa?
-Di essere chiusa qui dentro, mentre tu puoi andare dove vuoi.
-Non è colpa tua. Che uccello sei?
-Sono una bengalina.
-Come sei finita in questa gabbia?
-Io qui dentro sono nata e cresciuta. Finché in casa c'era il nonno, era lui che si occupava di me. Non faceva mai mancare l'acqua pulita nel beverino, e il cibo era sempre vario e abbondante. Insomma, sopportavo meglio la prigionia. Il vecchio a volte mi prendeva in mano, mi accarezzava il petto e la schiena e mi baciava sul capo.
Da quando non c'è più, le cose sono completamente cambiate. Il figlio se ne infischia quasi completamente di me. Mi lascia priva d'acqua per giorni, mi dà da mangiare quando se ne ricorda e mi tiene sul balcone anche quando le notti sono fredde. Non ce la faccio più. Per favore, aiutami a uscire da questa gabbia. Non viene pulita da giorni e ha un odore disgustoso.
Serafino osservò lo sportellino dal quale si poteva accedere all'interno della gabbietta.
-Sembra agganciato strettamente - disse.
-Il mio carceriere non fa nessuna fatica a sollevare il gancetto- disse la bengalina.
-Lui ha la mano, io ho solo il becco a disposizione.
-Perché non ci provi? Ho paura che abbia deciso di farmi morire di fame.
-Ma perché non ti lascia andare, così si toglie il fastidio e la fatica?
-Credo che abbia promesso al nonno di prendersi cura di me. Forse è questa promessa che lo trattiene. Se invece muoio, si crederà a posto con la coscienza.
-Fammi provare.
Serafino si aggrappò con le zampine ai ferretti della gabbia e afferrò con il becco il gancio che bloccava lo sportellino. Poi cercò di estrarlo dall'anello nel quale era inserito. Ma non veniva via. L'anello era un po' deformato e il gancio sembrava incastrato.
-Non ce la faccio - disse dopo vari tentativi andati a vuoto.
-Prova un'altra volta - lo implorò la bengalina.
-Rischio di incrinarmi il becco.
Ma non voleva arrendersi. Mentre guardava la bengalina rattrappita in un angolo della gabbia, gli parve di vedere sé stesso al suo posto e rabbrividì.
Si aggrappò nuovamente ai ferretti della gabbia e si mise a tirare il gancetto con tutte le sue forze.
E finalmente ci riuscì.
-Ce l'ho fatta! - esclamò trionfante.
Aprì lo sportellino e disse alla bengalina: -Puoi uscire.
La bengalina esitò.
-Be', cosa aspetti a venir fuori? - le chiese Serafino, stupito.
La bengalina si affacciò fuori dalla gabbia e si lasciò cadere sul balcone con un piccolo tonfo.
-Vai, sei libera - le disse Serafino.
-Ho paura.
-E di cosa?
-Di volare. Non l'ho mai fatto.
-Tu sei nata per volare.
-E se cado e mi sfracello sulla strada?
Serafino guardò la bengalina e fu sul punto di dirle: -Guarda che io ho imparato da solo e non ho mai avuto una fissazione del genere nella testa.
Ma si rese conto che lui era nato libero, mentre la bengalina aveva conosciuto solo spazi ristretti e limiti insuperabili.
Allora le disse: -Salta sul bordo della ringhiera e mettiti al mio fianco. Al mio via, spicca il volo verso l'albero dove io ho il nido. Vedrai che ti verrà naturale. Sei pronta?
-Sì.
-Al mio via, d'accordo? Pronta? Vai!
La bengalina spiccò il volo, ma, anziché dirigersi verso l'albero che Serafino le aveva indicato, andò a posarsi sul tetto del palazzo di fronte.
Serafino la raggiunse e le chiese: -Come ti sei sentita?
-Benissimo. È stato meraviglioso.
-Adesso cosa pensi di fare?
-Andrò il più lontano possibile da questo palazzo. Grazie, grazie.
La bengalina sfiorò con la punta del becco quello indolenzito di Serafino, aprì le ali e si lanciò con uno strillo nel cielo azzurro di quella indimenticabile primavera.

Care lettrici e cari lettori,
in accordo con l’editore, abbiamo deciso di sospendere la pubblicazione sul sito di "Le Avventure del Passero Serafino".
Il libro sarà in libreria nel mese di maggio del prossimo anno e sarà pubblicato dalla stessa casa editrice di "Le Avventure della gatta Ludovica", cioè EINAUDI RAGAZZI. Le illustrazioni, tantissime, saranno sempre di Sara Not.
Un caro saluto a tutti.
Angelo

© Angelo Petrosino. E' vietato riprodurre su altri siti o piattaforme anche piccole parti del testo senza il consenso esplicito dell'autore. Le illustrazioni sono di Sara Not e protette da copyright.